I vaccini e la protezione dal contagio: tante bugie ma la verità è una sola.
I vaccini anti COVID prevengono il contagio e ostacolano la diffusione del virus da una persona all’altra? La scorsa settimana ha avuto grande diffusione sui social media il video dell’eurodeputato olandese Rob Roos che, dopo aver posto una domanda alla rappresentante di Pfizer Janine Small, sostiene di essere riuscito a farle ammettere – sottintendendo una scoperta sconvolgente immediatamente rilanciata dai principali detrattori dei vaccini – che i vaccini anti COVID non sono mai stati testati per prevenire le infezioni e, dunque, la trasmissione del contagio, sottolineando l’inutilità del green pass. Tralasciando le decisioni politiche alla base dell’introduzione del green pass, ripercorriamo le tappe scientifiche dall’inizio della pandemia a oggi per fare ordine sull’argomento.
Non una novità
Prima di tutto il fatto che i vaccini non siano stati inizialmente testati per la prevenzione dell’infezione asintomatica (o paucisintomatica) da SARS-CoV-2 non è una novità: negli studi clinici di fase 3, effettuati nel corso del 2020, i vaccini non sono stati valutati per la loro capacità di ostacolare il contagio perché questo avrebbe richiesto molto tempo e ritardato la messa in commercio di un vaccino che, come prima cosa, doveva evitare l’insorgenza della malattia grave. Le agenzie regolatorie stesse sottolineavano chiaramente come i dati non fossero, in quel momento, sufficienti per valutare l’efficacia dei vaccini per ostacolare il contagio. Per valutare questo aspetto sarebbe stato necessario sottoporre periodicamente a tampone – aumentando risorse e tempo necessari – tutte le decine di migliaia di partecipanti, sia nel gruppo sperimentale che in quello del placebo, in modo da poter indagare eventuali infezioni e misurarne la frequenza nei due gruppi. Per velocizzare i tempi, in un momento della pandemia in cui stavamo combattendo contro un virus nuovo senza cure veramente efficaci, con i reparti di ospedale e terapia intensiva al limite del collasso (l’unica strategia che poteva essere mettere in atto era il lockdown!) lo studio è stato invece costruito per testare “solo” la protezione nei confronti della malattia sintomatica, in forma lieve e in forma grave, fornendo così le informazioni più urgenti di cui avevamo bisogno in quel periodo e lasciando il resto a studi successivi. Grazie a questa strategia abbiamo avuto disponibili i vaccini nel dicembre 2020, con tempi da record e con tante vite salvate grazie a questa velocità.
Studi osservazionali successivi
Solo osservazioni successive, provenienti da studi eseguiti quando i vaccini erano ampiamente utilizzati nella popolazione, hanno dimostrato chiaramente la loro capacità di impedire l’infezione e la diffusione del contagio. Ma c’è di più: la protezione, in tal senso, si attestava su valori elevatissimi. Uno studio pubblicato sul New England Journal of Medicine ad aprile 2021 ha dimostrato che due dosi di vaccino a mRNA proteggevano al 92% dall’infezione e, di conseguenza, il vaccino era allora fondamentale anche per ostacolare la diffusione del virus nella popolazione.
Cosa è cambiato
Il virus SARS-CoV-2 è in continua evoluzione e, con l’arrivo della variante omicron alla fine del 2021, la situazione è completamente cambiata. In particolare, in questo momento sta circolando nel nostro Paese la variante omicron 5, un virus molto diverso da quello che ha circolato nei primi due anni della pandemia, tanto diverso che alcuni virologi hanno addirittura valutato l’opportunità di cambiargli il nome. Omicron ha acquisito la capacità di sfuggire alle nostre difese immunitarie e, di conseguenza, la protezione del vaccino nei confronti dell’infezione è molto diminuita. A differenza del periodo in cui era prevalente la variante delta, infatti, con omicron capita spesso che molti vaccinati si contagino. Il vaccino è, però, ancora estremamente efficace nel prevenire la forma grave di malattia, e questa è la cosa fondamentale: secondo i dati dei Centers for Disease Control and Prevention (CDC), un ultracinquantenne non vaccinato corre un rischio 12 volte maggiore rispetto ai vaccinati con quattro dosi di morire di COVID-19. Proprio per questo è fondamentale continuare a informare i nostri pazienti sull’importanza di vaccinarsi e di stare al passo con le dosi di richiamo necessarie, facendo la nostra parte per impedire che rimangano vittime di informazioni errate che potrebbero avere un costo decisamente elevato sulla loro salute.
Concludendo, la voce che sta girando con insistenza sulla mancata protezione dal contagio fornita dalla vaccinazione, è semplicemente una bugia. Il virus cambia e quella affermazione non è più del tutto vera, ma è stata validissima fino alla fine del 2021, e per tutto il periodo in cui è stato in vigore il green pass. Si può discutere se il provvedimento sia stato opportuno o meno, ma le basi scientifiche su cui si basava erano solidissime.
La situazione epidemiologica in breve
Secondo i dati dell’Istituto Superiore di Sanità e del Ministero della Salute, anche nell’ultima settimana di rilevazione (7-13 ottobre 2022) continua a crescere il numero di casi di COVID-19 e l’incidenza si attesta su un valore di 504 casi per 100.000 abitanti (rispetto ai 441 della settimana precedente). Si registra, inoltre, un incremento del tasso di occupazione dei posti letto in area medica (+30%) e di quello in terapia intensiva (+44,5%), con un tasso di occupazione dei posti letto da parte di pazienti COVID del 9,8% e 2,4%, rispettivamente. Questi valori indicano una crescita rispetto alla settimana precedente, nonostante siano ancora inferiori rispetto alle soglie di congestione del sistema sanitario. Nell’ultima settimana tornano a salire anche i decessi, con oltre 362 casi nel periodo 6-12 ottobre (rispetto ai 238 nel periodo 29 settembre – 5 ottobre). Per quanto riguarda le varianti del SARS-CoV-2 attualmente in circolazione nel nostro Paese, quella prevalente risulta tuttora essere la omicron BA.5, con una prevalenza nazionale del 93%. Rispetto, infine, ai dati di copertura vaccinale, il 90,2% della popolazione maggiore di 12 anni ha completato il ciclo vaccinale con due dosi di vaccino, valore che si attesta a solo 35,2% per la popolazione 5-11 anni. Per quanto riguarda i richiami vaccinali, l’84,3% della popolazione che potrebbe riceverla ha fatto la terza dose, ma solo il 19,9 % della popolazione potenzialmente oggetto di quarta dose ha aderito alla campagna di vaccinazione. Sono oltre 6,8 milioni le persone di età superiore a 5 anni che non hanno ricevuto nemmeno una dose di vaccino.
Roberto Burioni, Ordinario di Microbiologia e Virologia Università “Vita Salute” San Raffaele, Milano
Renata Gili, Medico specialista in Sanità Pubblica, ASL Città di Torino